di Laudadio Andrea, Conti Marina, Mazzocchetti Lavinia, Mancuso Serena e Troilo Daniela
Tradizionalmente, una larga parte degli operatori della salute mentale – o più in generale delle professioni sociali – ha concentrato l’attenzione su cosa, nell’uomo (sia singolarmente, sia socialmente) “va male” e su come poter intervenire per curare, trattare o correggere (Cowen, 1999). Questo sforzo ha consentito di raggiungere innumerevoli benefici sostanziali. Sono stati fatti enormi progressi nella comprensione e nel trattamento delle malattie mentali. Parallelamente, secondo Seligman (1994) questo investimento di energie verso la cura delle patologie mentali ha contribuito a togliere lo spazio ad altre due missioni fondamentali della psicologia: rendere la vita delle persone migliori e valorizzare e sviluppare il talento. Di conseguenza, la psicologia è stata percepita, sopratutto a partire dalla seconda metà del ‘900, da molti (spesso anche al proprio interno) come un semplice sub-settore delle professioni sanitarie. La psicologia, scegliendo come campo prioritario di intervento la patologia mentale e la sofferenza psichica ha contribuito a limitare in modo significativo il suo campo di azione (Maddux, Snyder, e Lopez, 2004).
Inoltre, secondo Weick e Chamberlain (1997) i paradigmi di natura psicodinamica sono riusciti a permeare molti ambiti, contribuendo a identificare gli utenti delle professioni di aiuto come “difettosi”, “deboli” o “portatori di deficit”.
Indubbiamente, questa riflessione – purtroppo – è in larga parte estendibile anche alla Psicologia dell’Orientamento, nonostante già nel 1999 Krumboltz suggerisse di superare l’etichettamento di “problematici”, “difficili” o “indecisi” per coloro che non sembrano esprimere certezza riguardo la propria scelta professionale, in quanto i cambiamenti del mercato del lavoro avrebbero reso non lineari e non prevedibili gli sviluppi di carriera.
Come alternativa, Saleebey (2001) suggerisce l’adozione di una prospettiva basata sulle risorse, che rivolga l’attenzione alla resilienza alle avversità, alla realizzazione e allo sviluppo personale attraverso il superamento delle difficoltà del passato, al rafforzamento delle aspettative e delle aspirazioni individuali, nonché all’utilizzo delle doti, delle risorse e delle conoscenze dell’individuo, della famiglia, del gruppo e della comunità.
Da una prospettiva centrata sulla “correzione dei difetti”, si passa a un approccio centrato sul potenziamento delle risorse. Partendo da queste intuizioni, negli ultimi anni è cresciuto il movimento dei professionisti e ricercatori che criticano i modelli deficit-based per sostenere un approccio strengths-based (Trout et al., 2003).
Nel corso dell’intervento saranno presentati gli elementi centrali di un approccio orientativo centrato sui punti di forza, con la definizione di alcune tecniche e metodologie di base.