di Laudadio Andrea* Mazzocchetti Lavinia* e Fiz Pérez Francisco Javier**
* e-LABORANDO SpA ** Università Europea di Roma
Alcuni autori (Saleebey, 1997; 2001 Weick e Chamberlain, 1997) hanno evidenziato come, all’interno delle professioni sociali (e di conseguenza anche nell’orientamento), l’adozione di prospettive e metodologie psicodinamiche abbia contribuito definire gli utenti come portatori di deficit, problemi o patologie. In altre parole, gli utenti delle professioni sociali apparirebbero, in qualche modo, “difettosi” o “deboli”. Saleebey (1997), in contrapposizione, propone l’adozione (all’interno delle professioni sociali) di una nuova prospettiva basata sulle risorse dei soggetti sul loro sviluppo, inteso come processo di superamento delle difficoltà del passato, rafforzamento delle aspettative e delle aspirazioni individuali, nonché utilizzo delle doti, delle conoscenze dell’individuo, della famiglia, del gruppo e della comunità. Il superamento delle difficoltà del passato e il rafforzamento delle aspettative rappresenta il centro del processo di resilienza. Tra i diversi modelli disponibili in letteratura, è di particolare importanza quello proposto da Richardson et al. nel 1990 e successivamente nel 1992. Secondo questo modello, una persona (o un gruppo) da un’iniziale omeostasi biopsicospirituale, interagendo con eventi di vita avversi, attraversa una prima fase di distruzione e una successiva di reintegrazione nella quale può scegliere, in maniera consapevole o meno, se tornare all’omeostasi iniziale, se attuare un processo di reintegrazione resiliente, di reintegrazione con perdita o di reintegrazione disfunzionale. La reintegrazione resiliente si riferisce al processo di coping che determina la crescita, la conoscenza, la comprensione di sé stessi e lo sviluppo delle caratteristiche resilienti. Per reintegrazione che conduce all’omeostasi iniziale s’intende un ritorno al passato, alla situazione precedente all’evento avverso. In questo caso la reintegrazione non prevede né la crescita dell’individuo né lo sviluppo delle caratteristiche resilienti. Non sempre questo tipo di reintegrazione è possibile come nel caso di un danno fisico permanente o della morte di una persona cara. La reintegrazione con perdita avviene quando le persone non sono più motivate e rinunciano ad avere speranza nel futuro. Infine, la reintegrazione disfunzionale ha luogo quando le persone ricorrono a sostanze stupefacenti, a comportamenti distruttivi o ad altri mezzi per affrontare le avversità.
Sulla base di questo modello teorico, abbiamo provveduto alla costruzione, validazione e standardizzazione del Resilience Process Questionnaire (RPQ), uno strumento di misurazione della resilienza, costituito da 15 item a cui il soggetto deve rispondere su una scala Likert a cinque passi (da «Per nulla d’accordo» a «Del tutto d’accordo»). Lo strumento è articolato in tre dimensioni: F1) Reintegrazione con perdita o disfunzionale, F2) Reintegrazione resiliente e F3) Ritorno all’omeostasi. Nel corso dell’intervento sarà presentata una sintesi del percorso di validazione dello strumento e i suoi principali ambiti applicativi e di intervento.