di Andrea Laudadio*, Paolo Renzi* e Fabio Ferlazzo*
* Facoltà di Psicologia 2 – Università “La Sapienza”
Studiare l’e-learning
La formazione a distanza è una modalità di apprendimento già utilizzata da molti – e la tendenza è sicuramente all’aumento – anche se, attualmente, rappresenta una realtà percentualmente limitata (Capucci, 2005). La valutazione sulla qualità dell’e-learning svolta da diversi autori (Kilby 2001; Greenagel 2002; Massy 2002; Williams 2002) offre un quadro sicuramente non rassicurante. Infatti, a fronte di una discreta diffusione dell’e-learning resta ancora da chiarire il suo impatto sia sulle pratiche educative che sui modelli teorici sottostanti (Ligorio, 2005).
La formazione a distanza costituisce un ambito di studio in cui si confrontano diverse discipline scientifiche a loro volta portatrici di diversi e diversificati metodi di lavoro e di studio. Questa significativa sovrapposizione di paradigmi, modelli teorici, metodologie e strumenti ha generato una significativa produzione di conoscenza sul processo di e-learning anche se l’enfasi è stata posta molto sulla e- e non sul learning (Zenger e Uehlein 2002; Imel, 2002). La conoscenza su come gli adulti imparano è – infatti – in larga parte ignorata (Greenagel 2002; Williams 2002; Imel, 2002).
Una analisi della letteratura in materia di e-learning evidenzia una significativa maggioranza di studi con una impostazione – paradigmatica e metodologica – di tipo etnometodologica e – quindi – qualitativa.
A fronte di questo dato sono pochi gli studi di tipo sperimentale o quantitativo.
Inoltre, capita che in questi studi sperimentali sia possibile individuare alcuni errori di impostazione ricorrenti.
Non sono sempre tenute sotto controllo variabili come le conoscenze informatiche dei soggetti, l’argomento del corso e la modalità di assegnazione dei soggetti ai diversi gruppi sperimentali. In molti esperimenti non sono presenti gruppi di controllo.
Inoltre, molti dei dati che sono attualmente disponibili riguardano gruppi di studenti. A nostro avviso, questo rappresenta un limite degli studi sull’e-learning in quanto gli studenti (scuola superiore o università) potrebbero avere prestazioni – nel processo di apprendimento a distanza – diverse da soggetti non in formazione.
Applicare il metodo sperimentale all’e-learning non è semplice. Non è semplice, infatti, assegnare i soggetti a corsi (e quindi condizioni sperimentali) diverse, non è semplice – soprattutto – coinvolgere i soggetti in un processo di e-learning senza doversi anche confrontare con le questioni legate alle motivazioni dei soggetti.
Studiare l’e-tutor
Il concetto di tutorship ha subito un processo di sviluppo con l’introduzione delle Nuove Tecnologie. La letteratura riguardante la figura dell’e-tutor risulta ampia e caratterizzata da riflessioni che si focalizzano attorno a diversi aspetti del tutor (Rizzi, 2004)
Infatti, molto spazio in letteratura è dedicato a definire il “saper essere” e il “saper fare” di un tutor: caratteristiche che vanno da «facilitatore e regolatore della discussione» (Laure, 1993) fino a «allestire intorno ad ogni soggetto un ricco e variegato repertorio di risorse di apprendimento, tecniche, organizzative, interpersonali, in modo che questi possa trovare gli appigli più idonei a cui afferrarsi e procedere» (Calvani e Rotta, 2000).
Berge (1995) individua 4 funzioni legate al tutor: (1) una funzione pedagogica (facilitare l’interazione formativa, mantenendo il fuoco delle discussioni, fornendo contributi, evidenziando collegamenti); (2) una funzione sociale (promuovere le interpolazioni sviluppando la coesione e la integrazione del gruppo); (3) una funzione tecnologica (creando le condizioni per un uso semplice e confortevole dell’ambiente di rete, rendendo il più possibile trasparente la tecnologia); (4) una funzione organizzativo-gestionale (sollecitando il rispetto delle consegne, obiettivi formativi, tempi).
Concordano con questa suddivisione anche Trentin (1999) Shepherd (1999) e Salmon (2000).
La suddivisione funzionale di Berge è attualmente usata come riferimento dall’AIF per la certificazione del tutor nell’ambito dell’e-learning (cfr. Panini, 2005).
Secondo Trentin (2001) le funzioni del tutor possono essere racchiuse in tre aree/funzioni:
1) organizzative: il tutor si occupa di illustrare le modalità di partecipazione al corso, presentare i materiali e gli esperti, organizzare i lavori, ecc.. Egli assume essenzialmente un ruolo di coordinatore; 2) sociale: uno dei suoi compiti principali è di gestire la comunicazione e di intervenire sui processi di socializzazione fra i corsisti. Egli assume il ruolo di moderatore, facilitatore e consigliere; 3) didattica: deve agire a pieno titolo da esperto d’area, nel caso in cui abbia competenze specifiche in relazione agli argomenti trattati nel corso.
Similmente, Berge e Collins (1996) delineano il profilo di tutor online come caratterizzato dalla somma di tre sfaccettature: instructor, modetator e facilitator. Il primo si riferisce ad una funzione rivolta maggiormente al lavoro sui contenuti, il secondo alla gestione dei gruppi di lavoro e delle discussioni aperte, il terzo a varie forme di scaffolding.
Anche Shephert (1999) parla di tre distinte abilità del tutor che in alcuni casi richiedono la presenza di tre figure diverse nell’ambito di un corso. L’autore parla di tutor “esperto di contenuti” (subject expert), di un tutor identificabile nella figura del facilitatore (coach con funzioni di mentoring e counseling) e di un tutor i cui compiti si orientano alla verifica in itinere della pertinenza tra attività didattiche, strategie di apprendimento e obiettivi che l’esperienza formativa intende raggiungere (assessor).
Denis et al. (2004) propongono una implementazione dello schema di Berge per funzioni.
Competencies | ||||
Roles | Pedagogical | Communicational | Discipline Expertise | Technological |
Content facilitator | X | |||
Metacognition facilitator | X | X | ||
Process facilitator | X | X | X | |
Advisor/counsellor | X | X | X | |
Assessor (formative and summative) | X | X | ||
Technologist | X | |||
Resource provider | X | X | ||
Manager/administrator | X | |||
Designer | X | X | ||
Co-learner | X | X | ||
Researcher | X |
A questo schema Rotta e Ranieri (2005) aggiungono la funzione dell’Animatore (o facilitatore di comunità), Allenatore/master e Sostenitore/mentore.
Conole (2004) nel definire – e suggerire – quali dovrebbero essere gli spazi di ricerca all’interno dell’ambito dell’e-learning più volte individua la figura del tutor: in rapporto alle competenze, nella relazione con gli studenti e rispetto alla conoscenza della piattaforma.
Alcuni studi sperimentali
A nostro avviso, parlando del tutor, sono da chiarire ancora delle dimensioni più elementari che la letteratura – spesso sulla base dell’esperienza quotidiana – tende a dare per scontata. In primo luogo resta da chiarire se il tutor contribuisce ai livelli di apprendimento di un gruppo. E qualora la risposta empirica avesse esito positivo sarebbe doveroso per la ricerca tentare di individuare sperimentalmente i meccanismi e le dimensioni attraverso le quali il tutor agendo facilita l’apprendimento.
Per rispondere a questi interrogativi sono stati messi a punto alcuni esperimenti (Laudadio, Renzi, Ferlazzo 2005a, 2005b, 2006). Tutti gli esperimenti sono stati realizzati presso alcune aziende che hanno scelto l’e-learning come metodologia formativa. Nello specifico sono state realizzate presso alcuni call-center che attraverso la formazione a distanza realizzano la specifica formazione degli operatori telefonici. Questa condizione ci ha consentito di gestire le questioni legate alla partecipazione al corso di formazione.
Per valutare la qualità del processo di apprendimento sono stati utilizzati dei questionari. Prima e dopo il corso sono stati somministrati ai partecipanti due versioni parallele di un questionario di apprendimento specifico costruito sulla base dei contenuti del corso.
Nel primo studio sono stati costruiti due gruppi (bilanciati per competenze informatiche e pregresse conoscenze sull’argomento del corso). I gruppi differivano esclusivamente per l’avere o non avere a disposizione un tutor.
I risultati hanno evidenziato come la presenza di un tutor contribuisca significativamente ad aumentare i livelli di apprendimento dei soggetti.
Sulla base di questi risultati è stato ipotizzato che incrementare il numero dei tutor incrementasse i livelli di apprendimento. Per questo motivo sono stati costituiti tre gruppi. I primi due gruppi avevano a disposizione il tutor A e il tutor B mentre il terzo gruppo aveva a disposizione entrambi i tutor (A e B).
L’esperimento non ha evidenziato differenze significative – nel livello di apprendimento – tra i tre gruppi.
Questi due studi ci hanno portato ad ipotizzare che il contributo del tutor – al processo di apprendimento – sia del tipo tutto-o-nulla, ovviamente tenendo presente la numerica dei gruppi, ovvero di circa 15 soggetti.
A questo punto il focus degli studi si è spostato sulla modalità di erogazione del tutoraggio. Abbiamo quindi allestito una situazione sperimentale in cui i due gruppi differivano esclusivamente per avere a disposizione un tutor “in presenza” oppure “a distanza”. La tutorship a distanza è stata realizzata attraverso l’uso della chat.
I risultati hanno evidenziato che il gruppo con il tutor in presenza ha espresso migliori prestazioni nel processo di apprendimento.
Il principale limite di questi studi è dovuto al fatto che è stato possibile coinvolgere negli esperimenti esclusivamente delle donne. A breve verranno replicati gli esperimenti anche con gruppi di uomini.
Alcune ipotesi qualitative
In estrema sintesi emerge – chiaramente – che il tutor esprime un contributo – anche marcato – nel processo di apprendimento. La presenza del tutor esprime miglioramenti significativi nel livello di apprendimento dei discenti.
Detto questo non è possibile sfuggire ad un nuovo interrogativo: perché?
E’ possibile formulare alcune ipotesi sulla base dell’osservazione che è stata realizzata dei percorsi.
A nostro avviso, il tutor offre una funzione supplementare rispetto alle 4 evidenziate da Berge. O meglio, il tutor offre un contributo al processo di apprendimento che si situa a cavallo tra la posizione pedagogica e la funzione sociale.
Infatti, nelle situazioni con il tutor capita spesso di osservare che il tutor riverberi – all’interno del gruppo – gli errori di apprendimento di cui viene a conoscenza. Operativamente, questo significa che il tutor spesso riferisce al gruppo errori di apprendimento compiuti da soggetti. In sintesi, il tutor assolverebbe quindi ad una funzione di “socializzazione degli errori”.
Questa funzione potrebbe aggiungersi all’elenco fornito da Denning (2004) ed implementato da Rotta e Ranieri (2005).
A supporto di questa ipotesi si colloca il terzo esperimento effettuato. Infatti, l’analisi qualitativa degli scambi avvenuti tra il tutor a distanza e gli studenti non ha evidenziato situazioni di “socializzazione degli errori” ma esclusivamente risposte di tipo individuale.
Chi sperimenta quotidianamente l’aula sa a cosa ci riferiamo. Capita spesso – durante le esercitazioni – che un soggetto chieda al docente una informazione. Se poi un secondo o un terzo soggetto chiede la stessa cosa il docente si interrompe, richiama l’attenzione del gruppo e fornisce la risposta a tutti. Anche quindi ai soggetti che pensavano di aver compreso correttamente.
Bibliografia
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Laudadio A., Renzi P., Ferlazzo F. (2005b) “Il tutor: come e quando è utile. Un contributo di ricerca” – 2° Congresso della Società Italiana di E-Learning: Persone, Organizzazioni, Sistemi. Firenze
Laudadio A., Renzi P., Ferlazzo F. (2006) 0, 1 o 2. Quanti tutor per imparare meglio a distanza? (Paper Submitted)
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