Diario di una scelta. Una analisi qualitativa della relazione studente-contesto nel momento della scelta

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Dettagli:

di A.Laudadio, R.Porcelli, M.Amendola, E.Sabatino, A.Grimaldi

«Vedrai, la nostra arte è un misto di matematica e di fantasia»
– Durrenmatt (1953)

Una premessa di metodo

La “rivoluzione qualitativa” iniziata negli anni settanta (Cicognani, 2000) ha ormai da tempo superato il momento post-sperimentale (Denzin, Lincoln, 1994, 2000) ed è entrata in una fase caratterizzata da “fermento ed esplosione” in cui tale approccio sembra assumere un ruolo “sociale” finalizzato allo sviluppo e al progresso. L’aumento di credibilità che le ricerche qualitative riscuotono ne costituisce una prova. Peraltro sembra anche più vicina una integrazione con i metodi e con le tecniche quantitative. A nostro avviso le diverse tecniche (Laudadio, Amendola, Porcelli, Grimaldi, 2004) sono più facilmente collocabili all’interno della cornice definita dalla loro intersezione.

Questa nuova prospettiva rimanda ad una visione delle tecniche quantitative legate agli aspetti metrici mentre, al contrario, quelle qualitative farebbero riferimento agli aspetti di forma[1].

Con tutta probabilità il cambiamento più rilevante, se si assume questa premessa,  è la centratura sul contesto e sulle relazioni. Nell’ottica appena descritta l’osservatore entra a far parte a pieno titolo del processo di produzione di conoscenza. Rifacendosi alla affermazione di Alfred Korzybski “la mappa non è il territorio”, ripresa successivamente da Gregory Bateson (1970), si potrebbe dire che osservatori diversi costruiscono diverse mappe della realtà.

Accettare questi presupposti significa riappropriarsi di quegli aspetti di soggettività e coinvolgimento repressi per anni nello “spazio inconscio” della ricerca, per trasformarli attivamente in strumenti di produzione di conoscenza viabile (Laudadio, Porcelli, 2004).

Il rinnovamento ha interessato anche il linguaggio tecnico della ricerca. Guba e Lincoln (1982) suggeriscono di sostituire il concetto di validità con credibilità, attendibilità con affidabilità, obiettività con confermabilità e generalizzazione con trasferibilità. L’accordo su questo rinnovamento terminologico non è univoco, mentre sembra condiviso (Mazzara; Cicognani) l’assunto per il quale la ricerca qualitativa, nel tentativo di sciogliere il nodo della validità, debba porre attenzione al come la ricerca è stata svolta, profondendo nella descrizione delle fasi della ricerca e delle metodologie. In questo modo la validità diventa l’esito di un processo sociale di negoziazione tra gli scienziati (Mazzara, 2002).

Le pratiche narrative in orientamento

Attualmente la ricerca sull’orientamento sta dedicando un interesse sempre maggiore agli utenti, nella consapevolezza che una analisi attenta delle esigenze di orientamento di costoro costituisca una delle premesse indispensabili per la messa a punto di pratiche di intervento mirate per target di utenza specifici. Le azioni professionali in questo ambito, infatti, sono sempre più differenziate in ragione di un crescente numero di fruitori, rispetto ai quali è necessario fornire servizi adeguati nonché differenziati. A tal fine è opportuno riferirsi a un panorama di impianti teorici e di metodi che sia ampio, e molti sono gli autori che sottolineano l’importanza di un approccio in grado di fornire una lettura attendibile del processo di orientamento (Mancinelli, 2002; Boncori, Boncori, 2002; Boncori, 1993).

Ogni soggetto porta con sé una domanda di orientamento che sorge dall’intero bagaglio di esperienze professionali e di vita, dal contesto di appartenenza, dalla cultura di riferimento È quindi evidente la necessità di raccogliere informazioni attendibili, valide e approfondite. L’applicazione di metodi quantitativi, in virtù delle procedure di validazione di cui dispongono, è in grado di fornire strumenti sensibili di lettura della realtà; tuttavia, come sostenuto in premessa, sembra inevitabile l’integrazione di tali metodi con procedure e tecniche di tipo qualitativo, al fine di inserire le informazioni che provengono dal versante quantitativo in una cornice di riferimento più ampia.

In questa sede si vuole evidenziare come, tra le tecniche qualitative, la metodologia narrativa sia di particolare interesse nel contesto orientativo.

Solo apparentemente innovativa, viene ormai utilizzata da circa un secolo (Barresi, Juckes, 1997) ed è applicabile ad ogni tipo di disciplina psico-sociale. In particolare, nell’ambito della psicologia dell’orientamento, l’autonarrazione è proficuamente utilizzata per sostenere l’utente nel complicato processo di riappropriazione delle proprie esperienze (Di Fabio, 2003): verbalizzando vicende ed episodi significativi accaduti nella propria vita, il soggetto ha l’occasione di prenderne coscienza e di imparare da essi, collocandosi, oltretutto, in una prospettiva temporale che consente di percepirsi come unità continua che agisce nel presente e che si rappresenta il futuro sulla base delle vicissitudini passate. La narrazione aiuta a dare un significato ai propri pensieri (ibidem) e consente una visione di sé che tiene conto della globalità del proprio essere, migliorando la percezione di sé (Di Paolo, 2000), fondamentale per la comprensione e la rappresentazione mentale dei propri progetti di vita.

Tale metodologia è di efficace utilizzo con gli adolescenti in quanto consente l’utilizzo del pensiero narrativo (Smorti, 1994; Zukier, 1996) che, a differenza di quello cosiddetto paradigmatico, è sensibile alle variabili spazio-temporali (di contesto) e sufficientemente flessibile da consentire un facile adattamento alle diverse condizioni di vita e di azione. Nel corso della narrazione, inoltre, si attiva un processo di metacognizione (Batini, 2000) in cui il soggetto riflette sui propri processi mentali, divenendo consapevole anche delle strategie che egli stesso mette in atto in particolari situazioni. Risulta chiaro come una tale presa di coscienza sia strategica e funzionale nel processo orientativo.

Obiettivo della ricerca

L’obiettivo di una ricerca qualitativa (o di forma) è, in generale, quello di fornire una risposta ad una “domanda cognitiva” (Cardaro, 2003) o, in altri termini, fornire un’idea rispetto alla determinazione di un fenomeno. Nello specifico, la domanda che ha guidato e sostenuto la ricerca presentata in questo contributo è esprimibile in due interrogativi: a cosa fanno riferimento i giovani quando pensano alla scelta post diploma? E qual è il livello di relazione con il contesto?

Sostanzialmente il gruppo di lavoro ha tentato di esplorare il modo in cui i giovani studenti delle ultime classi delle scuole superiori si relazionano rispetto alla scelta post-diploma, i vissuti che li accompagnano in questa fase di transizione e le rappresentazioni mentali cui più frequentemente fanno riferimento al momento della scelta.

La fase del ciclo vitale che tipicamente i giovani attraversano tra i sedici e i diciotto anni si caratterizza per una particolare condizione di tensione: da un lato, una tensione emotiva dovuta all’accrescimento della conoscenza su di sé che avvia al compimento della maturazione dell’identità personale, sociale e professionale; dall’altro, una tensione cognitiva, in ragione della scelta che si compie dopo il conseguimento del titolo di studio e che influenza notevolmente la vita di ogni singolo studente.

Assumendo una unità di analisi complessa, si è ritenuto opportuno procedere nel perseguimento degli obiettivi di ricerca utilizzando una metodologia di indagine relativa alla “forma”, nel senso sopra indicato.

Metodologia

In analogia con gli obiettivi della ricerca e al fine di ottenere risultati integrati si è scelto di affiancare uno strumento “quantitativo” ad uno strumento “qualitativo”, costruito ad hoc, chiamato “Diario di una scelta”. Entrambi sono stati rivolti ad un campione di studenti, descritto di seguito, appartenenti a classi di istituti diversi nella Provincia di Roma. Inizialmente è stato somministrato lo strumento quantitativo e consegnato il diario. Successivamente, a distanza di circa due settimane, è stato raccolto il diario compilato dai ragazzi.

Campione

Così come tipicamente avviene nelle ricerche qualitative a sfondo esplorativo, non si è posta la necessità statistica di costruire un campione in modo che fosse rigorosamente rappresentativo dell’universo.

Alla ricerca hanno partecipato 110 soggetti, di cui 59 ragazze e 50 ragazzi[2], appartenenti alle classi quarte[3] di tre tipologie di istituti superiori: Liceo Classico (42,20%), Liceo Scientifico (15,60%) e Istituto Tecnico (42,20%). L’età minima indicata dai soggetti è stata 17 anni, la massima 24 anni. L’età media del campione è di 18 anni e 1 mese, con una deviazione standard di 10 mesi.

Rispetto alla distribuzione dei soggetti per sesso, all’interno delle diverse tipologie di scuola, non sono state rilevate differenze significative.

Strumenti

Il questionario somministrato ai ragazzi, preliminarmente alla consegna del diario, è composto da due sezioni.

La “Sezione I – Dati anagrafici” è stata messa a punto al fine di rilevare sui soggetti alcune variabili di carattere generale (ad esempio, la tipologia di scuola frequentata, il titolo di studio e la professione dei genitori) e si compone di dieci item, di cui nove a risposta chiusa e uno a risposta aperta. In particolare, nella domanda aperta, si offriva agli studenti l’opportunità di descrivere un eventuale percorso di orientamento a cui avevano partecipato nel passato. Infine viene posta ai ragazzi una domanda volta a rilevare l’eventuale consuetudine a scrivere su un diario.

La “Sezione II – Atteggiamenti” aveva lo scopo di esplorare, prima della compilazione dello strumento qualitativo, il rapporto dei soggetti rispetto al proprio futuro e alla scelta da compiere dopo il conseguimento del diploma. E’ composta da dieci item con una scala a quattro livelli (da “Del tutto d’accordo” a “Del tutto in disaccordo”) in cui i soggetti erano invitati a indicare il proprio atteggiamento rispetto alle situazioni proposte.

Il “Diario di una scelta” è stato costruito appositamente per la ricerca. È  costituito da un quaderno a righe prestampate in cui i soggetti sono stati invitati ad annotare, per l’intera durata della sperimentazione (circa 15 giorni), le proprie riflessioni in merito alla scelta post-diploma e al futuro scolastico-professionale. Nella prima pagina è indicata la consegna che intenzionalmente è costituita da un insieme di istruzioni e di stimoli generici[4]. I ragazzi hanno tenuto con sé il diario per circa quindici giorni e sono stati lasciati liberi di scegliere tempi, modi e quantità delle annotazioni.

Analisi dei dati

Lo scopo generale dell’analisi testuale è quello di ricostruire le “dimensioni latenti di senso” (Bolasco, 1998, p. 193) al fine di individuare le rappresentazioni mentali più frequenti nel testo in esame.

A questo fine, è stato costruito un database di 110 record, in modo tale che ciascuno di questi contenesse i dati forniti dai soggetti attraverso i diversi strumenti utilizzati durante la sperimentazione. Dal database è stato estratto un unico file di testo costituito dall’unione di tutti i diari raccolti; su questo file si è proceduto all’applicazione del software Concordance, in grado di creare tabelle di occorrenza[5]. Con un metodo intergiudice sono state eliminate le parole cosiddette  “vuote” o “strumentali” (Bolasco, 1995; Mussino, Felici, Mingo, 1995; Reinert, 1995; Zecchi, 1995) ed estrapolate quelle con particolare significato nel momento della scelta, chiamate, al contrario, parole “significative”[6].

A questo punto, data l’ambiguità di molte parole nella lingua italiana (Marconi, Morgavi, Ratti, Rolando, Murgese, 1995), sono state necessarie procedure di text processing – anch’esse applicate con metodo intergiudice – in modo da rendere il corpus di analisi non ambiguo e da poter successivamente applicare analisi statistiche corrette. Le procedure di lemmatizzazione[7] più frequentemente indicate in letteratura sono quelle della disambiguazione e della fusione (Bolasco, 1995): con la prima si disaggregano parole che, pur riconducendosi ad uno stesso lemma, non vengono utilizzate, nel testo in esame, in modo funzionalmente simile[8]; con la seconda, vengono aggregate, al contrario, parole non sempre riconducibili allo stesso lemma ma funzionalmente simili (ad esempio sinonimi, coniugazioni verbali, maschili/femminili, plurali/singolari…).

Ottenuto l’elenco delle parole significative, utilizzando il software Hamlet è stato possibile costruire una matrice di co-occorrenza[9] che, successivamente, è stata trasformata in una matrice di Burt[10].

Un punto critico per la creazione della matrice è stato quello di decidere l’unità di analisi all’interno della quale il software avrebbe cercato le co-occorrenze tra parole-significative. In letteratura si trovano riferimenti relativamente ai criteri della prossimità spaziale o della punteggiatura (Reinert, 1995; Carrubba, 2002). In questo caso – pertanto – lo spazio di co-occorrenza  è il singolo diario, nella convinzione che fosse importante capire il modo in cui ogni soggetto, indipendentemente dagli altri, richiama alla sua attenzione determinati concetti affiancandoli ad altri di particolare interesse.

Sulla matrice di co-occorrenze, così ottenuta, è stata applicata l’Analisi delle Corrispondenze, metodo messo a punto dalla scuola francese di analyse des données (Benzécri, 1973) che applica procedure fattoriali a “mutabili e mutabili ordinabili” (Losito, 1996, p. 72), permettendo anche la visualizzazione, sul piano cartesiano, degli assi fattoriali estratti. L’Analisi delle Corrispondenze, eseguita su una matrice di co-occorenze costituita da lemmi, prende il nome di Analisi delle Corrispondenze Lessicali (ACL).

Risultati

Si è registrato un ritorno di diari compilati pari al 60,91% dei soggetti, pertanto il corpus di analisi è stato composto da 67 diari nei quali sono state scritte, in media, 241,73 parole, con una deviazione standard di 226,66 parole.

L’ACL ha consentito di estrapolare tre fattori in grado di spiegare parte dell’informazione contenuta all’interno del corpus di analisi[11].

Il primo asse fattoriale è interpretabile come la rappresentazione delle dimensioni realtà/idealità: i soggetti sembrano percepire, all’interno di questo fattore, i sogni, le idee, in qualche modo anche le loro passioni, come “oggetti” molto distanti dal lavoro, dallo studio, dalla laurea. Sembra quasi che le due sfere in questione non possano essere assunte come concomitanti ma, piuttosto, come mutuamente escludentesi, come se i soggetti sentissero di dover necessariamente decidere tra ciò che piace e ciò che si sente di dovere di fare.

Batini e Zaccaria (2002) hanno riscontrato, in un loro progetto, come i ragazzi raccontassero la propria realtà in termini di pesantezza e dipingessero, al contrario, i propri sogni con aggettivi che denotano leggerezza e piacevolezza (p. 31):

«La realtà […] è spesso qualcosa di negativo, in cui l’unico riscatto possibile è quello di trasformarla nel proprio sogno, ma in questo i ragazzi/e paiono essere sin troppo realisti: il sogno rimarrà tale, la realtà sarà un’altra»

Questa interpretazione è, in un certo senso, riproposta nel secondo fattore che, diversamente dal primo, sembra porre maggiore attenzione sul piano dell’azione. Le dimensioni rappresentate sono, in questo caso, potenzialità e concretezza: ad un estremo dell’asse si collocano parole-significative quali diventare, sogno, scegliere, quasi ad indicare le potenzialità che i soggetti sentono di poter mettere a frutto; sull’altro estremo si trovano fare, scelta, decidere, lavoro, laurea indicanti le azioni concrete che sentono di dover svolgere per il loro futuro.

Il piano cartesiano rappresenta lo spazio concettuale all’interno del quale le parole-significative si situano più (o meno) vicine tra loro in relazione al maggiore (o minore) grado di co-occorrenza: in questo caso troviamo laurea nel quarto quadrante, derivato dall’intersezione del semiasse della realtà del primo fattore e della concretezza del secondo, mentre sogno si trova nel secondo quadrante, tra le dimensioni idealità e potenzialità: si collocano, quindi, in due spazi diametralmente opposti nel piano.

Questo dato autorizzerebbe a sostenere che gli studenti operano un forte distanziamento culturale tra le due sfere considerate. Qualcuno, infatti, ha dichiarato nel proprio diario che l’università implica molti sacrifici come, ad esempio, quello di “dover studiare per molte ore e quindi non avere molto tempo per dedicarsi al divertimento”.

Il terzo asse fattoriale rappresenta, invece, le dimensioni della socievolezza e dell’individualità: da una parte si trovano le parole-significative fratelli, famiglia, amici, madre; dall’altra si dispongono volere, devo, università, lavoro. Anche in questo caso l’osservazione dei grafici aiuta la comprensione del fattore: laddove viene ad influire la dimensione dell’individualità (Figg. 3 e 4) sembra emergere un certo grado di maturità dei soggetti dovuto proprio alla consapevolezza del fatto che, pur con il sostegno degli “altri significativi”, le decisioni in merito al proprio futuro vengono prese da essi stessi, in prima persona. Un soggetto, a tal proposito, ha scritto sul proprio diario: “questa è la mia vita e sarò io a gestirmela”.

Un ultimo dato interessante è rappresentato da una particolare costellazione presente nel quarto quadrante del grafico, che deriva dall’incrocio del primo e del terzo fattore (Fig. 3): possibilità/madre. Tale dato si presta a due possibili interpretazioni. Una prima ipotesi riguarda la percezione, da parte dei soggetti, di un forte sostegno genitoriale durante la valutazione delle opportunità offerte dal panorama universitario-formativo-professionale (alcuni soggetti hanno dichiarato di parlare molto spesso con i propri genitori della scelta e che, questi ultimi, offrono il loro aiuto cercando opuscoli informativi da consultare). Un’ipotesi diversa riguarda, invece, la percezione degli studenti di un forte carico di aspettative che i genitori riverserebbero su di loro, come se il sostegno offerto ai soggetti avesse lo scopo di indirizzarli verso alcune scelte piuttosto che altre. Alcuni soggetti hanno infatti dichiarato: “i miei genitori vogliono che io vada all’università”, oppure “vorrei fare contenti i miei genitori andando all’università”.

Figura 2 – Assi fattoriali 1 e 2

Figura 3 – Assi fattoriali 1 e 3

Figura 4 – Assi fattoriali 2 e 3

Conclusioni

I risultati a cui si è pervenuti suggeriscono alcune considerazioni.

In termini metodologici, sembra emergere un suggerimento a proseguire lungo la direzione della metodologia narrativa adottata, che ha consentito una rilettura interessante del fenomeno indagato (il processo di scelta in età adolescenziale). L’utilizzo di uno strumento qualitativo come  il “Diario di una scelta” è infatti proficuamente utilizzabile in un contesto di intervento orientativo in cui tanto il soggetto quanto l’orientatore possono trovare spunti significativi. Il soggetto, in virtù della  peculiarità di tale approccio, ha la possibilità di fornire un senso ai propri pensieri, di rimetterli in ordine e di riflettere in modo più profondo su di sé e i propri interessi e desideri, così come alcuni studenti hanno esplicitato, riferendo che il “Diario” ha permesso loro di pensare più spesso, e con maggiore livello di approfondimento, al proprio futuro. La metodologia narrativa, pertanto, sosterrebbe i giovani non soltanto nella indagine di dimensioni che sono connesse alla scelta, ma anche per il fatto di favorire una “pensabilità” del futuro che, date le tensioni emotive e cognitive di cui essi stessi sono protagonisti in questo particolare momento della vita, spesso non è facile avvertire come concreto e percorribile.

Pensando alle azioni di orientamento, è possibile rintracciare numerosi spunti di riflessione per il servizio fornito ai singoli utenti e per le modalità con cui, in generale, vengono messi a punto progetti di intervento: la narrazione non è solamente flessibile, in termini di proposta di metodologia all’interno di un percorso di orientamento, ma consente di indagare in modo approfondito anche alcune dimensioni e problematiche che diversamente sarebbero difficilmente esplicitabili.

Un ulteriore vantaggio offerto da questo tipo di metodologia è rappresentato dalla possibilità che l’operatore ha di personalizzare le pratiche focalizzandosi su elementi che caratterizzano le particolari esperienze di vita dei soggetti, in modo da fornire delle restituzioni coerenti rispetto alla domanda del soggetto e difficilmente ascrivibili a profili stereotipati.

Questo contributo sembra inoltre confermare che la metodologia narrativa è profondamente coerente rispetto agli obiettivi fondamentali delle pratiche orientative, in generale ma almeno rispetto a questo target specifico di utenza: la possibilità di riformulare l’atteggiamento di dipendenza, mostrato dagli adolescenti nei confronti degli “altri” significativi, è infatti funzionale alla promozione di competenze autoorientative, dove l’individuo è sì al centro del processo di orientamento, ma in modo autonomo rispetto alle proprie scelte.

Bibliografia

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Boncori, L., Boncori, G. (2002), L’orientamento. Metodi, tecniche, test, Carocci, Roma.

Cardaro, 2003 ???

Carli, R., Paniccia, R.M. (2002), L’analisi emozionale del testo. Uno strumento psicologico per leggere testi e discorsi, Franco Angeli, Milano.

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Cicognani, 2000 ???

Denzin, Lincoln, 1994, 2000 ???

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Guba, Lincoln (1982) ???

Laudadio A., Amendola M., Porcelli R., Grimaldi A. (2004), “Il caso PassoallaPratica. Per una rilettura della domanda di orientamento”, Magellano. Rivista per l’orientamento, n° 23, pp. 26-41.

Laudadio A., Porcelli R. (2004), “Presupposti di ricerca”, in A.Grimaldi, A.Laudadio (a cura di) Orient@mento.Un’indagine nazionale sul rapporto tra orientamento e informatica, FrancoAngeli, Milano.

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Mancinelli, M.R. (2002), Le componenti del processo di orientamento, in Castelli C. (a cura di), Orientamento in età evolutiva, Franco Angeli, Milano, pp. 115-143.

Marconi, L., Morgavi, G., Ratti, D., Rolando, C. (1995), “Analisi statistica della distribuzione degli errori in un corpus costituito da testi scritti dai bambini della scuola elementare”, in Bolasco, S., Lebart, L., Salem, A. (a cura di), JATD 1995. III Giornate internazionali di analisi statistica dei dati testuali, vol. II, CISU, Roma, pp. 127-134.

Mazzara, B., (2002), a cura di, Metodi qualitativi in psicologia sociale: prospettive teoriche e strumenti operativi, Carrocci, 2002

Mussino, A., Felici, B., Mingo, I. (1995), “Un approccio lessicometrico per l’analisi del contenuto dei programmi elettorali”, in Bolasco, S., Lebart, L., Salem, A. (a cura di), JATD 1995. III Giornate internazionali di analisi statistica dei dati testuali, vol. II, CISU, Roma, pp. 271-278.

Reinert, M. (1995), “I mondi lessicali di un corpus di 304 racconti di incubi attraverso il metodo “Alceste”” in Cipriani, R., Bolasco, S. (a cura di), Ricerca qualitativa e computer. Teorie, metodi e applicazioni, Franco Angeli, Milano, pp. 203-223.

Smorti, A. (1994), Il pensiero narrativo. Costruzione di storie e sviluppo della conoscenza sociale, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze

Soresi, S. (a cura di) (2000), Orientamenti per l’orientamento. Ricerche ed applicazioni dell’orientamento scolastico e professionale, ITER, Firenze.

Zecchi, S. (1995), “La parola ai cittadini”, in Bolasco, S., Lebart, L., Salem, A. (a cura di), JATD 1995. III Giornate internazionali di analisi statistica dei dati testuali, vol. II, CISU, Roma, pp. 233-240.

Zukier, H. (1996), “The paradigmatic and narrative modes in goal-guided inference”, in Sorrentino, R.M., Higgings, E.T. (a cura di), Handbook of motivation and cognition, The Guilford Press, New York, pp. 465-502.

ALLEGATO 1: QUESTIONARIO SOCIO-ANAGRAFICO

 “Diario di una scelta”

Sezione I – Dati anagrafici

01 Anno di nascita:_________

02 Sesso:5 Femmina5 Maschio

03  Tipologia di istituto frequentato:

Liceo scientifico5
Liceo classico5
Istituto tecnico5
Istituto professionale5

Titolo di studio dei genitori: (Ti preghiamo di rispondere per entrambi i genitori)

 04 Madre05 Padre
Licenza Elementare55
Licenza Media55
Maturità55
Laurea55

Professione dei genitori: (Ti preghiamo di rispondere per entrambi i genitori)

 06 Madre07 Padre
Operaio55
Artigiano55
Impiegato55
Insegnante55
Libero professionista55
Casalinga55
Commerciante55
Addetto all’agricoltura55
Imprenditore55

 

 SiNo
08  Hai mai partecipato ad un percorso di orientamento?55

09 Se hai risposto Si, alla domanda precedente, puoi descriverlo brevemente?

__________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

10  Possiedi un diario, o comunque sei solito scrivere delle riflessioni?:

Si5
No5

Sezione II – Atteggiamenti

Rispetto alle seguenti affermazioni, indica il tuo grado di accordo o disaccordo, con una croce per ciascuna alternativa.

Dopo che avrò preso il diploma …

  Del tutto d’accordoParzialmente d’accordoParzialmente in disaccordoDel tutto in disaccordo
 11… farò un corso di formazione professionale5555
12… farò una esperienza all’estero5555
13… non ho ancora deciso5555
14… cercherò un lavoro5555
15… cercherò uno stage5555
16… andrò all’università5555
17… farò una pausa5555
 18… non saprò cosa fare5555
 19… cambierò vita5555
 20… dovrò confrontarmi con il mondo “vero”5555

ALLEGATO “DIARIO DI UNA SCELTA”

1

[1] “Forma” in greco è “eidos”, cioè idea, come se il rapporto tra forma e dimensione fosse indistricabile. È impossibile misurare l’inconcettualizzato così come avere una forma senza individuarne le dimensioni.

[2] Un soggetto non ha indicato il sesso nel questionario socio-anagrafico

[3] La decisione di contattare esclusivamente le classi quarte è scaturita dall’analisi di recenti ricerche (Grimaldi, 2002) nelle quali è stato sottolineato come il bisogno di orientamento sia più forte in questo momento piuttosto che durante il terzo o il quinto anno: infatti, mentre nel primo caso gli studenti hanno la percezione di essere ancora molto lontani dalla scelta, durante l’ultimo anno molti di loro hanno già preso una decisione.

[4]Tale scelta veniva incontro a due necessità: da un lato, quella di circoscrivere il tema sul quale concentrarsi, ovvero quello della scelta; dall’altro, quello di scongiurare il rischio per il quale, di fronte ad una indicazione precisa, i ragazzi fossero condizionati o “pilotati” da questa. Per la stesura di un diario occorre fare il possibile perché lo scrivente sia messo nella condizione di esprimere liberamente i propri pensieri.

[5] Una tabella di occorrenza reca, per ciascuna parola (o lemma) utilizzato all’interno del testo, la frequenza con la quale questa parola “occorre” all’interno del testo.

[6] In letteratura a parole e lemmi con particolare significatività nel testo vengono date denominazioni varie: Bolasco (1995) si riferisce a “parole chiave”; Carli e Paniccia (2002) adottano la dicitura “parole dense”, in riferimento alla connotazione emotiva che esprimono.

[7] Con il termine lemmatizzazione si fa riferimento alle procedure di elaborazione del testo che riconducono le parole al loro lemma, cioè “il significante più radicato nella coscienza degli utenti dei dizionari” (Marconi, Morgavi, Ratti, Rolando, 1995, p. 129; cfr. anche Bolasco, 1998, p. 171).

[8] Ad esempio, nel presente caso la parola “studio” è stata ritenuta significativa quando indicava l’attività dello “studiare”, ma non significativa qando si riferiva a un luogo di lavoro. All’interno del file di testo ogni volta che la parola occorreva quest’ultimo senso è stata contraddistinta da un simbolo, divenendo “studio@”. Il software considera ora “studio” e “studio@” due parole completamente diverse.

[9] Una matrice di co-occorrenza è una tabella che presenta, sia in riga che in colonna, l’elenco delle parole-significative. All’incrocio di ciascuna riga con ciascuna colonna c’è l’indicazione di quante volte una singola parola co-occorre con ciascuna delle altre.

[10] Per questa trasformazione è stato semplicemente inserito, in diagonale, il totale di  riga.

[11] In particolare i tre fattori spiegano, in ordine decrescente, un’inerzia pari al 5,70%, 5,12%, 4,95%, per un totale di inerzia spiegata pari al 14,77%. Il termine inerzia, nell’ambito dell’ACL, è usato “come sinonimo di varianza” (Losito, 1996, p. 102).